Come venne raccontata la morte di Peppino Impastato

La notte tra l’8 e il 9 maggio 1978 veniva fatto saltare in aria Peppino Impastato.
Per l’omicidio di Peppino Impastato sono stati condannati nel 2001 Vito Palazzolo e nel 2002 Gaetano Badalamenti. Queste due sentenze hanno provato che quell’omicidio è stato un omicidio di mafia.

Oggi conosciamo la verità su quell’omicidio, ma nei giorni e nei mesi successivi al ritrovamento dei resti del corpo di Peppino Impastato la notizia della sua morte venne raccontata in tutt’altro modo.

Salvo Vitale, un amico di Peppino Impastato, in Peppino Impastato, una vita contro la mafia, ha raccontato i giorni successivi all’omicidio: «in paese intanto circolava la notizia dell’attentato: si diceva che Peppino era andato a mettere una bomba per far saltare in aria il primo treno del mattino, solitamente carico di operai e studenti pendolari: non si voleva soltanto ucciderlo, ma distruggerne la figura, l’idea e la memoria. Chi ha concepito il piano di questo delitto, aveva calcolato anche questo, che la gente avrebbe subito accettato la versione che più faceva comodo: l’attentato “politico” era la soluzione più plausibile per un tipo “pazzo” come Peppino, su cui incombeva qualche ombra di simpatie per il terrorismo: così un comunista-terrorista era morto nel modo che più si meritava, con la sua bomba, e la bomba non era solo un attrezzo, ma il comunismo stesso come ideologia che finisce col distruggere chi lo prepara, la forza del male, già a priori insita nei contenuti della scelta di rottura, la condanna di un’esperienza non gradita e scomoda per una zona come quella di Cinisi».
Durante gli interrogatori a Giovanni Impastato venne chiesto se Peppino Impastato fosse nelle Brigate Rosse, se frequentasse persone particolari, perché possedeva foto di via Fani (luogo in cui venne rapito Aldo Moro) e perché fosse andato a Roma un mese prima della morte del fratello.
Nel volantino del PCI pubblicato su «Lotta Continua» il 12 maggio 1978 non compariva nessun riferimento alla mafia.

Nel pomeriggio del 9 maggio 1978 Salvo Vitale e Gino Scasso fecero stampare un manifesto che venne attaccato di notte sui muri di Cinisi sul quale c’era scritto: «Peppino Impastato è stato assassinato. Il lungo passato di militante rivoluzionario è stato strumentalizzato dagli assassini e dalle “forze dell’ordine” per partorire l’assurda ipotesi di un attentato terroristico. Non è così! L’omicidio ha un nome chiaro: MAFIA. Mentre ci stringiamo intorno al corpo straziato di Peppino, formuliamo una sola promessa: continuare la battaglia contro i suoi assassini».

Nessuna descrizione della foto disponibile.

Ai bordi della strada a pochi metri dal posto in cui vennero ritrovati i resti del corpo fu piantato un cartello con la scritta «Giuseppe Impastato assassinato dalla mafia qui».

Nove maggio 1978: l'omicidio di Peppino Impastato | Telejato

La mattina del 10 maggio 1978 il Corriere della Sera titolava «Ultrà di sinistra dilaniato dalla sua bomba sul binario».
Nell’incipit dell’articolo si leggeva «suicidio, attentato o l’uno e l’altro assieme?». E poi: «la notte fra lunedì e martedì, terminata la trasmissione, con una poderosa carica di esplosivo in borsa, Giovanni (a Peppino venne dato erroneamente il nome del fratello) Impastato si è recato sulla linea ferroviaria. Era sua intenzione divellere i binari e nel mettere a punto l’ordigno, è saltato in aria come Feltrinelli? L’ipotesi del suicidio si fonda invece sul rinvenimento in casa del giovane di un biglietto che secondo il fratello sarebbe sicuramente di suo pugno. Gli inquirenti non ne hanno reso noto il testo, si conosce però il suo contenuto: Giovanni dice di ritenersi fallito come uomo e come politico e di desiderare che i suoi resti siano cremati e le sue ceneri disperse al vento».

Corriere della Sera, 10 maggio 1978

Salvo Palazzolo ha scritto che il 10 maggio, il giorno dei funerali, «qualcuno si premurò di fare arrivare alla famiglia Impastato la voce che Badalamenti non ne sapeva niente e che diceva di andare cercando il responsabile per consegnarlo alla famiglia».

Il giorno dopo sul Giornale di Sicilia venne titolato «Tra i binari di Cinisi corre veloce un giallo» e l’articolo si concludeva con «resta quindi l’ipotesi dell’”incidente” costruito per simulare un delitto. Ma, fanno notare i “mafiologi”, i delitti di mafia sono “esemplari”: lupara o calibro 38 perché tutti sappiano da che parte è arrivata la sentenza di morte. Ma qui non c’è stata né l’una né l’altra. E allora? Il mistero non è stato risolto».

Il 15 maggio e il 16 maggio il Giornale di Sicilia ritornò sull’omicidio Impastato. Il 15 pubblicò un articolo dal titolo «Una pioggia di querele per il giallo di Cinisi. Sfuma la pista delle macchie di sangue». Le macchie di sangue erano quelle ritrovate a pochi metri dai resti del corpo di Peppino Impastato. L’articolo sosteneva che le macchie di sangue individuate dagli amici di Peppino non fossero di Peppino ma fosse sangue mestruale, dato il reperimento lì vicino di un assorbente igienico.
Il giorno dopo lo stesso giornale pubblicò la ormai famosa lettera di Impastato che confermava, secondo gli inquirenti, l’ipotesi suicidio.

Il 31 maggio sul settimanale «Cronaca vera» venne pubblicato un servizio dal titolo «è saltato in aria da solo». Nell’articolo veniva scritto che «i carabinieri non nutrono molti dubbi sulla fine dell’estremista siciliano. Si è suicidato. La mafia sarebbe completamente estranea alla tragedia. In una lettera del morto la confessione del suo fallimento».

La storia processuale dell’omicidio Impastato è estremamente complessa fatta di archiviazioni e di riapertura delle indagini. Le indagini vennero coordinate anche dall’allora procuratore capo della procura di Palermo Gaetano Costa e da Rocco Chinnici.
Dopo moltissimi anni le sentenze hanno ristabilito la verità e hanno smentito le voci e gli articoli di giornale.

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