Farà la storia, non è e non potrà mai essere un semplice processo penale.
E’ il maxiprocesso calabrese che, al pari di quello palermitano del 1992, entra di diritto nei più importanti processi contro le mafie italiane. E’ il processo Crimine.
Si è concluso il 17 giugno 2016 ma soltanto il 30 dicembre la Corte di Cassazione ha depositato la sentenza.
La sentenza della Corte accerta l’esistenza della Provincia, descrive i riti maniacali direttamente dalla voce dei diretti interessati e sopratutto delinea una ‘ndrangheta forte, organizzata e unita.
E’ proprio la prova dell’unità dell’associazione criminale a trasformare una semplice sentenza in una sentenza importante dal punto di vista giudiziario, storico, sociologico e antropologico, come disse il procuratore Gratteri durante la requisitoria del primo grado.
Ma è lo stesso Gratteri che ricorda, sempre in quella requisitoria, che era stata già la sentenza 299 del Tribunale di Locri, depositata il 24 marzo del 1971 (processo del summit di Montalto del ’69) a sottolineare l’unitarietà della ‘ndrangheta.
Dopo circa 40 anni è, finalmente, la Cassazione a ‘certificare’ questo tipo di struttura.
Cosa scrive la Corte di piazza Cavour?
Innanzitutto «lo spaccato storico raffigurato dalle fonti dimostrative qui utilizzate ha consentito di ritenere «vera» l’esistenza di una struttura di vertice con compiti di promozione dell’osservanza delle regole ‘statutarie’, come in ogni organismo collettivo – che ambisce a regolamentare le condotte degli aderenti – si tende a realizzare».
Ma questa struttura non può essere paragonata alla famosa cupola siciliana poichè si tratta di «un organismo deputato essenzialmente alla prevenzione e repressione di conflitti interni (tra organismi territoriali) e/o di contenimento delle condotte devianti di singoli affiliati.». E ancora: «si tratta, pertanto, essenzialmente di un organismo di garanzia, con cessione parziale di sovranità operata dagli esponenti delle famiglie poste a capo dei singoli territori che si riconoscono in tale struttura, per il perseguimento di un obiettivo comune, quello di evitare guerre.»
Poi descrive l’organizzazione e la scala gerarchica chiarendo che «vengono identificati dei veri e propri «gradi» di una scala gerarchica interna, che tendenzialmente distingue gli affiliati delle singole «locali» in una società minore e in una società maggiore.» e che «gli avanzamenti ‘di ruolo’ anche in Lombardia debbano essere approvati dai referenti delle famiglie calabresi».
Tutti, quindi, devono dar conto alla Mamma, in Calabria ma anche al nord.
«Nella cd. società minore vengono identificate, in serie di rilevanza, le cariche di picciotto, camorrista, sgarrista. A capo della società minore vi è un soggetto chiamato ‘capo giovane’. Nella cd . società maggiore si accede con I dote della ‘santa ‘ cui fanno seguito il vangelo, il trequartino, il quartino e il padrino. In alcune captazioni emerge l’esistenza di una dote individuale superiore a quella del padrino, chiamata croce, stella o crociata. La progressione nelle doti cui pare accedersi per anzianità coniugata alle particolari attitudini dimostrate – consente all’affiliato di incrementare il prestigio personale e la stessa importanza della locale o della società di riferimento. In ogni gruppo territoriale vi sono dei soggetti responsabili della attribuzione di dette ‘doti ‘. Si tratta di una terna di soggetti chiamata copiata.»
Eccola, la ‘ndrangheta unita, ricca, organizzata, di cui la Cassazione scrive mettendo tutto, finalmente, nero su bianco.
Fedele ai suoi riti, severa, moderna. La più forte.
2 risposte a “La 'ndrangheta è forte e unita: la sentenza storica”
[…] riprende sin da subito la storica sentenza della Cassazione del 17 giugno 2016 (ne scrissi qui) e appoggiandosi a questa sottolinea a più riprese l’unitarietà della ‘ndrangheta, ormai […]
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[…] della Cassazione n. 39799/15 reg. gen emessa il 17 giugno 2016. Una sentenza storica (ne ho scritto qui) segno, checché se ne dica, degli ottimi risultati raggiunti dai […]
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