Per chi non lo conoscesse il professore Antonio Nicaso è un saggista e docente universitario calabrese.
Nasce a Caulonia, nella Locride, nel 1964.
Da storico delle organizzazioni criminali è uno dei maggiori esperti di ‘ndrangheta nel mondo.
Da Fratelli di sangue a Padrini e padroni passando per La giustizia è una cosa seria, La malapianta e tanti altri: insieme al procuratore Nicola Gratteri ha scritto più di dieci libri.
Ho avuto l’onore di porgergli cinque domande.
Professore, nell’ultimo libro “Padrini e padroni” lei e il procuratore Gratteri riportate un segmento di una sentenza del Tribunale di Locri del 1950 a mio avviso emblematica: «mentre altrove le controversie agrarie si discutono davanti al tribunale e sono decise con sentenza, in Siderno e Locri si ricorreva all’occulta potenza dei Macrì per imporre la volontà dei padroni ai contadini e ai mezzadri.» È l’immagine di una ‘ndrangheta credibile contrapposta a quella di uno Stato debole.
La ‘ndrangheta continua ad avere un consenso sociale importante anche perché spesso si è sostituita con successo allo Stato latitante?
La ‘ndrangheta spesso si è sostituita allo Stato, garantendo piccole e grandi soluzioni sul territorio. Ma non lo ha mai fatto disinteressatamente. Ancora oggi, ogni «intervento» della ‘ndrangheta diventa un obbligo, un vincolo. La ’ndrangheta non fa nulla se non ottiene qualcosa in cambio. Purtroppo, a causa di una politica che non è in grado di interpretare le istanze dei cittadini, la ‘ndrangheta continua ad avere un consenso sociale molto forte. Molti candidati promettono di tutto pur di ottenere il sostegno dei boss più influenti della ‘ndrangheta, in occasione di elezioni, soprattutto amministrative. Ed è questa legittimazione a rafforzare il potere mafioso sul territorio. La storia della ‘ndrangheta è quella di una lunga legittimazione da parte di chi avrebbe dovuto anche culturalmente prenderne le distanze.
Secondo Giuliano Di Bernardo, ex Gran Maestro del GOI, l’ingegnere Ettore Loizzo avrebbe detto che in Calabria su 32 logge 28 erano controllate dalla ‘ndrangheta. Saranno le sentenze a dirci se lo schema massonico-mafioso che gli inquirenti hanno disegnato con l’inchiesta «Mammasantissima» corrisponde alla realtà. Politica, massoneria e ‘ndrangheta: per anni avrebbero governato direttamente e indirettamente la Regione Calabria. Cosa manca, ancora, per dire che, in questa regione, c’è stato un attentato alla democrazia?
La Calabria è da sempre una regione a sovranità limitata. Qui, la ‘ndrangheta è particolarmente forte ed ha cominciato ad avere rapporti con le classi dirigenti già all’indomani dell’unificazione territoriale del paese. Che cosa manca per dimostrarlo? Mancano le sentenze. In passato, la ‘ndrangheta è stata colpevolmente sottovalutata. Bisogna indagare di più su quel grumo di potere che alimenta la ‘ndrangheta e tutti quei convitati di pietra che quotidianamente sfidano lo stato di diritto.
Lei ha scritto, insieme al procuratore Gratteri e a Valerio Giardina, un libro intitolato “Cosenza, ndrine sangue e coltelli”. Per molti a Cosenza e provincia la ‘ndrangheta è una ‘ndrangheta più “pulita”, legata al mondo politico ma non violenta.
Quanto c’è di vero e quali differenze sostanziali ci sono tra i clan cosentini e quelli reggini?
Cosenza, per decenni, è stata considerata una provincia «babba». E invece andando a ritroso si scopre che la picciotteria ha messo radici anche in quella parte di Calabria. Cominciamo a percepirla meglio dopo l’omicidio di Luigi Palermo, negli anni Settanta, quando i vari clan cosentini ottengono il riconoscimento del crimine di San Luca e la legittimazione delle famiglie di Reggio Calabria e della piana di Gioia Tauro. Prima dell’omicidio Palermo e dopo la decimazione della picciotteria, con il maxi-processo di inizio novecento, i clan del cosentino e della sibaritide erano più «simili» alla camorra che alla ‘ndrangheta. Una delle principali fonte di reddito era lo sfruttamento della prostituzione. Col tempo, il livello è cresciuto moltissimo, con i clan di Cetraro, Isola Capo Rizzuto, Cirò, Cutro e Crotone che sono diventati potenti e anche ben ramificati lontano dai territori di origine.
La commissione governativa guidata dal procuratore Gratteri ha presentato al Governo un articolato di legge contenente modifiche importanti al Codice Penale, Codice di Procedura Penale e all’ordinamento giudiziario. Perché la bozza è ancora ferma a prendere polvere e perché mai nessun Governo nel proprio programma ha inserito al primo punto la lotta alle mafie?
Non saprei. Manca sempre qualcosa, quando bisogna prendere in considerazione la lotta alle mafie. In questo momento, forse, mancano i numeri per evitare il solito tira-e-molla che spesso stravolge le proposte di riforma adattandole agli umori dei vari schieramenti. In realtà, non c’è mai stata la volontà politica di sedersi attorno a un tavolo e proporre una adeguata strategia di contrasto. La nostra legislazione antimafia è nata sull’onda emotiva di fatti eclatanti.
Professore, lei insegna lontano migliaia di chilometri dal posto in cui è nato. Io mi son promesso di fare tutto il possibile per rimanere qui, ma molti miei coetanei non vedono l’ora di scappare dalla Calabria e, ahinoi, promettono di non tornarci più. Rischiamo davvero che i figli degli ‘ndranghetisti si impadroniscano materialmente di questa terra.
Ma perché un venticinquenne, una volta finiti gli studi, dovrebbe resistere alla voglia di scappare?
Quando mancano le prospettive occupazionali, c’è poco da fare. Anch’io sono stato costretto a lasciare la Calabria. Ma non è stato facile. Tutti vorremmo vivere e lavorare nella terra in cui siamo nati. Ai ragazzi di oggi dico che bisogna studiare e lottare. Ci sono tante cose che si possono fare in Calabria. Sentire dei tanti soldi restituiti all’Unione Europea perché non utilizzati, mi fa rabbia. Con Nicola Gratteri, recentemente sono stato in Bulgaria. Ogni comune aveva un assessore con delega all’Unione Europea. Ogni fondo destinato alla Bulgaria viene utilizzato e investito per creare benessere e occupazione. Abbiamo visto tanti giovani che lavorano grazie ai fondi dell’Unione Europea. Perché da noi non possiamo farlo? Abbiamo sempre pensato alle industrie, a replicare modelli di altre regioni.
Dovevamo partire dalla storia e dalla geografia per dare un futuro alla nostra terra. Possiamo ancora farlo.
Grazie.